La Bulgaria nella Seconda guerra mondiale

seconda guerra mondiale bulgariaAppena iniziarono i primi scontri della Seconda guerra mondiale, la Bulgaria si affrettò a dichiararsi neutrale. Nel 1941, però, i nazisti tedeschi arrivarono nei pressi del Danubio, là dove il fiume a nord della Bulgaria confina con la Romania. Il governo bulgaro, al quale nel frattempo Hitler aveva proposto la Macedonia in cambio di aiuto, decise così di entrare a far parte dell'Asse. Di fatto quindi i nazisti ricevettero il permesso di entrare nel paese, che contemporaneamente aveva dichiarato guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna (ma non alla Russia). Le leggi anti-ebrei in Bulgaria vennero introdotte allo scoppio della Seconda guerra mondiale, con motivazioni che si conformavano all'orientamento intrapreso dalla Germania nazista, con cui la nazione si alleerà in seguito. Il punto di svolta avvenne tuttavia il 15 febbraio 1940, con la nomina di Bogdan Filov, che fu noto scienziato e germanofilo determinato. Nel luglio dello stesso anno venne annunciata dal governo la decisione di limitare la libertà alla minoranza ebraica; il 23 gennaio 1941 la 'legge per la protezione della nazione' venne ufficialmente promulgata dal Parlamento bulgaro. 
 
Nel giugno 1942 il Ministro degli Interni Gabrovski, l'architetto della legislazione anti-ebraica, chiese e ottenne dal Parlamento l'autorizzazione affinché al governo fossero affidate tutte le prerogative sulle questioni relative agli ebrei. Le proteste contro questo provvedimento, provenienti dai democratici come Nikola Mushanov non valsero a nulla. Il 3 settembre 1942, l'avvocato Alexander Belev, un tedesco anti-semita, divenne il capo del Commissariato anti-ebrei, mentre nel 1943 Adolf Beckerle, ministro tedesco a Sofia, venne affiancato da Theodor Dannecker, collaboratore di Eichmann, arrivato in Bulgaria al fine di organizzare la deportazione degli ebrei bulgari nei territori orientali. Il 2 febbraio 1943, Gabrovski e Dannecker convennero che tutti gli ebrei della Macedonia greca e della Tracia, amministrate dalla Bulgaria a partire dalla primavera del 1941, venissero consegnati ai tedeschi per la deportazione. Il 22 febbraio, Belev e Dannecker firmarono un accordo formale per deportare 20.000 ebrei.
 
Le voci delle deportazioni suscitarono una scia di forte ed inaspettata opposizione, che vide il suo punto di maggiore fervore nella città di Kustendil, grazie ad un gruppo diretto dal vice-presidente del Parlamento bulgaro, Dimiter Peshev. Entrambe, considerazioni umanitarie e politiche motivarono il movimento di protesta, a cui si unirono figure politiche al di fuori del Parlamento e personalità di spicco della gerarchia della Chiesa greco-ortodossa. Sotto una tale pressione, il governo di Bogdan Filov decise infine per il compromesso e venne infine ordinato che tutte le deportazioni degli ebrei bulgari venissero annullate. Fu così che il governo della Bulgaria (spronato dall'opinione pubblica) decise di non lasciare i 50.000 ebrei bulgari nelle mani del Terzo Reich. A questo non vennero tuttavia risparmiati gli ebrei della Macedonia e della Tracia, che vennero trasportati in treno e in battello attraverso il Danubio, fino ai campi di sterminio della Polonia. Morirono in totale 11.384 ebrei.
 
Improvvisamente però, una settimana dopo aver incontrato Hitler, lo zar bulgaro Boris III morì. Era il 28 agosto 1943, e subito si pensò ad un assassinio tramite veleno, che però non fu mai provato. A Boris succedette il figlio, Simeone II, che però era ancora piccolo. Le incursioni aeree nel 1943-44 misero in ginocchio la capitale Sofia ed altre città bulgare. Si provò a concludere una pace separata con gli alleati cercando di costituire in breve un governo di coalizione, ma il tentativo andò in fumo.
 
Alla fine del maggio 1944, il governo di Bozhilov venne sostituito da quello di Iva Bagrianov, che fu determinato nel districarsi dal coinvolgimento della Bulgaria nella guerra, restando quindi aperto ai negoziati con gli alleati americani. Nell'agosto del 1944 il governo di Sofia decideva per l'abolizione  delle leggi anti-ebraiche, successivamente resa pubblica dal nuovo governo di Kosta Muraviev. Nel settembre dello stesso anno l'Unione Sovietica dichiarò guerra alla Bulgaria, occupando il territorio  e rovesciando il governo installatosi nel mese precedente. Il potere venne assunto il 9 settembre 1944 dal Fronte della Patria, unione dei vari gruppi locali della Resistenza, tra cui i comunisti. Migliaia di appartenenti all'ormai defunto regime “monarchico-fascista” vennero processati da tribunali del popolo, costituitisi su tutto il territorio, addirittura prima che la guerra fosse finita. A seguito di un accordo di armistizio, firmato a Mosca il 28 ottobre 1944, il Paese venne posto sotto sorveglianza e controllo sovietico fino alla ratifica del Trattato di pace di Parigi nel 1947. L'anno prima, nel 1946, venne indetto un referendum che sancì l'abolizione della monarchia bulgara proclamando la Repubblica. Lo zar Simeone II venne esiliato e a capo del governo venne nominato Georgi Dimitrov.